di Franco Cesati Editore
Per dire da dove sia nata l’idea di questo libro, devo tornare indietro di due anni.
Zurigo, convegno dell’American Association for Italian Studies. Tra i vari professori che incontriamo c’è Anna Canonica-Sawina: ci deve parlare del primo libro che pubblicherà con la Cesati, “La nascita del Rinascimento a Firenze”.
Tacchi, pantaloni a sigaretta, scialle e un sorriso che accompagna una mano tesa; stretta decisa, piglio sicuro, diretto. Mi piace subito. Prende a parlare dei suoi progetti, delle cose che ha scritto, dei suoi interessi. Che sono migliaia, è difficile starle dietro nel suo parlare veloce, nel suo accompagnare i discorsi con una marea di gesti. La frase “colleziona scarpe e lauree”, che ho aggiunto nella sua bio, non è buttata lì per caso; ma all’epoca di Zurigo intuivo solo quanto fosse vera.
Mentre ci parla dei suoi studi sul Rinascimento, sul perché il suo libro sarà unico (“tutti parlano del Rinascimento ma nessuno si chiede perché Firenze, perché proprio in quel momento, perché in quel modo”), tira fuori il dizionario della moda che aveva pubblicato vent’anni prima, “il primo dall’epoca fascista”, precisa. Perché una delle sue tante tesi di lauree l’ha fatta niente-po-po-di-meno-che con Gaetano Berruto, dio della sociolinguistica, per me come una rock star. Anna ci racconta di come sia stato complicato all’epoca trarre tutte le informazioni necessarie per definire i lemmi: mica c’erano Internet e Google. Le toccava andare spessissimo a Milano, parlare con sarti, produttori di stoffe, stilisti; quasi un esperimento – atipico, di certo très chic – di etnolinguistica, di indagine linguistica e antropologica sul campo. Subito quell’idea mi colpisce, mi colpisce come Anna ce la racconta; mi piacerebbe che nel nostro catalogo ci fosse un titolo come quello. Ma i tempi non sono ancora maturi.
I due anni li passo a impaginare e correggere libri. Li passiamo, insieme alla redazione e all’editore, a ripensare alla grafica delle collane, a fare sempre più libri che ci somiglino, con una linea editoriale precisa, religiosa. Andiamo per convegni, conosciamo professori, sbirciamo idee al Salone del Libro di Francoforte, poi a quello di Torino, dove alla fine ci presentiamo anche con uno stand nuovo di zecca e grandi speranze. In bella mostra, tra i nostri libri, c’è anche “La nascita del Rinascimento a Firenze”, tra l’altro uno dei titoli più venduti in quei giorni. Per due motivi: per il tema, che comunque piace sempre; per lo stile con cui la Canonica scrive: per aneddoti. Le informazioni e le nozioni storiche, le date si mescolano alle curiosità e così resti incollato alla pagina, manco fosse un romanzo.
Niente accademia, niente ampollosità. “Sono un’insegnante. Nel tempo mi sono accorta che gli studenti apprendono di più quando non sanno di imparare”, lo dice Anna durante la presentazione delle “Parole della moda” al Salone del Libro di Torino e io non potrei essere più d’accordo.
Di qui l’idea di una collana che prendesse un po’ in giro il lettore, in senso buono, ovviamente: che lo portasse a imparare, a incuriosirsi a temi legati alla lingua e alla letteratura, quasi inconsciamente, grazie a uno stile easy, leggero, una grafica invitante, i contenuti scritti bene ma in modo divulgativo; un po’ come una chiacchierata, come un racconto.
Il primo titolo?
A Firenze ci sarebbe stato Pitti uomo così ho pensato: pazzia, proviamo a sentire se la Canonica ha voglia di scrivere un nuovo dizionario della moda.
Pazzia, perché deve scriverlo in poco tempo. Pazzia doppia, perché lei accetta. Asciuga, aggiunge lemmi e ne elimina, aggiorna, riscrive il suo antico dizionario e ci mette anche il carico da novanta: un capitolo introduttivo, uno sulla moda e il cinema, uno più tecnico sulla formazione delle parole, sulla derivazione e sulle parole straniere, poi il dizionario.
Alla fine di gennaio ricevo il mio regalo di Natale: il manoscritto e una mail. “Io ho fatto il mio, e con dei tempi pazzeschi, ora sta a voi”, il succo.
E qui io ingenua la seconda volta perché non avevo ancora idea di cosa volesse dire pensare a un progetto grafico che somigliasse più a una rivista che a un saggio accademico.
Così studio, leggo, guardo, fotografo, e leggo, leggo ancora.
Pensare al testo, rileggerlo, correggerlo, limarlo insieme all’autrice mi preoccupava meno perché faceva parte del “già noto”, di quello che faccio da cinque anni: il redattore.
Di solito si parla di “giri” di bozze, nel quali l’autore si prende del tempo per riflettere e per rivedere il testo con calma; con Anna è stato un susseguirsi (o inseguirsi?) di mail: per aggiungere una voce fondamentale, per cambiare un’immagine, per farle disegnare dei modelli di scarpe, perché lei sa anche disegnare. Incredibile. In questa telecronaca quotidiana fatta di botta e risposta, di quesiti e commenti, il libro prende forma.
Ora inizia la sfida.
Perché bisogna conquistare chi “vive” di moda – aspiranti stilisti, blogger, giornalisti, fashion “victim” – che si tratta di uno strumento utile e intelligente per scrivere articoli, per descrivere un capo d’abbigliamento non usando parole a casaccio, per pensare a un bozzetto, magari partendo da un tessuto, da un taglio, dalla storia di un sarto. Questo, usando una lingua facile, tante immagini per orientarsi, specchietti che aiutano a memorizzare quasi senza accorgersene, tornando al discorso di prima.
E poi bisogna conquistare chi della moda non si interessa per nulla. Non vorrei scomodare la Miranda Priestly di “Il diavolo veste Prada” (altro film che i modaioli hanno tutti visto e chi odia la moda pure, anche se negherà tutta la vita) ma, pensandoci, anche sì. Tutti hanno a che fare con la moda: sia che si decida di seguirla come i dieci comandamenti come di evitarla e di acquistare “per negazione”, frugando tra i mercatini vintage (che tra l’altro adoro) e le bancarelle, ignari (?) che anche quegli abiti oggi “fuori moda” un tempo erano “dentro” la moda.
È un fatto che il modo in cui vestiamo rappresenta un frammento di noi, anzi una sintesi: i nostri abiti sono un po’ la nostra copertina, tornando ai libri, dicono qualcosa di ciò che vogliamo gli altri sappiano di noi. Anche che non ce ne frega nulla.
A queste persone chiedo di comportarsi esattamente come gli suggerisce il loro modo di essere: ignorare le apparenze, non interessarsi della “copertina”, della grafica e di concentrarsi sui contenuti, che riguardano sì la moda ma che si intrecciano con la storia, con l’artigianato, con l’arte, con la letteratura, con il cinema, con l’economia e dicono molto di linguistica, di come le parole “nascono”, da dove vengono e come cambiano.
E qui mi viene in mente una parola che appare alla c del dizionario: cangiante.
Viene dal francese “changeant” e indica una “stoffa che sulla superficie cambia riflessi o colori a seconda del punto dal quale la si osserva e dalla luce che la illumina”.
“Le parole della moda” è un libro cangiante perché cambia a seconda prospettiva dalla quale lo si legge, da ciò che si mette in luce – magari con un tratto di evidenziatore – e ciò che lascia nella “penombra” della pagina.
Le parole cambiano così come noi cambiamo. In qualche modo le parole sono gli abiti e gli accessori della lingua, compongono il nostro “look” linguistico: saperle usare, scegliere, accostare, dosare è un’arte affascinante e per molti versi misteriosa perché ha a che fare con la sensibilità, gli studi, gli affetti, l’indole, il passato di ognuno di noi.
Buona lettura.
Silvia Columbano
@Silvi_Col