di Franco Cesati Editore
Diciamocelo: l’inizio della scuola, per noi che ci siamo finalmente lasciati alle spalle grembiuli, campanelle e sedie in legno compensato, si accompagna ogni anno alla liberatoria sensazione di averla scampata, al sollievo di non dover mai più alzare la mano davanti a decine di persone per ottenere il permesso di andare in bagno e, soprattutto, di non dovere ma più ricevere voti per le nostre prestazioni. In realtà, è sufficiente misurarsi col mondo del lavoro (o anche solo tentare di accedervi) per scoprire quanto il vecchio adagio eduardiano “gli esami non finiscono mai” mantenga sempre la stessa perturbante freschezza di un compito a sorpresa.
Per un redattore, in particolare, i momenti di verifica sono molti: in un ipotetico grafico dell’ansia, questi disegnerebbero una linea ascendente che, a partire dai giri di bozze con gli autori (che del resto, qui alla Cesati, sono per lo più docenti), toccherebbe il suo culmine nella fase di controllo della copia cianografica (“ciano” per gli amanti dei bisillabi). La cianografica altro non è che la prova generale di un libro, il primo provvisorio commutarsi dei file in cellulosa, dettato dalla prudente esigenza di verificare che il passaggio tipografico non abbia introdotto distorsioni (caratteri illeggibili, salti o ripetizione di pagine etc.) e di controllare definitivamente la presenza di errori residui: incongruenze nell’indice, mancate corrispondenze tra titoli di capitolo e testatine (i titoli correnti riportati in testa alla pagina), presenza di vedove – quando una pagina (o una colonna) termina con la prima riga di un paragrafo – e di orfane – quando una pagina (o una colonna) inizia con l’ultima riga di un paragrafo –, imprecisioni nella sillabazione, posizionamenti errati dei numeri di pagina…
In questi termini, il controllo delle ciano è perfettamente equivalente alla correzione di un compito in classe: è la fase in cui i proverbiali nodi vengono al pettine e in cui, quindi, il frutto del lavoro redazionale viene sottoposto a valutazione, in primis da parte del redattore stesso. Nel contrassegnare l’errore, al rosso (o blu) del tratto di penna dell’insegnante si sostituisce in redazione il giallo dei post-it che vengono apposti sulle pagine incriminate, per le quali il redattore dovrà preparare le saltuarie, ovvero le singole pagine corrette da inviare al tipografo perché le sostituisca in vista della stampa.
Del resto, cosa sarebbe il lavoro di un redattore senza gli errori? Gli errori, i nostri e quelli altrui, ci costringono a restare vigili, a riconoscere nella nostra fallibilità un’opportunità per migliorarci, una lezione da cui imparare.
Così, ogni giorno continuiamo a formarci, e lo facciamo sui libri, con dei maestri, proprio come a scuola.
Con la differenza, però, che noi andiamo in bagno quando ci pare.